biglietti agli amici.

“E allora si accorge che, per la maggior parte degli individui, la conquista dell’indipendenza va a scapito della generosità, come se l’orgogliosa risultante del “io posso fare quello che voglio” si costituisse a base di cene solitarie con un piatto di riso, qualche panino, e soprattutto – questa è l’immagine più nitida che Leo ha – a base di tubetti di dentifricio che il bambino-in-collegio strizza disperatamente fino alla fine. Il senso del possesso che lui osserva nelle altre solitudini gli appare esagerato. In alcuni diventa vera e propria tirchieria, in altri essenzialità, in altri ancora frugalità o nevrosi di ordine, pulizia, attenzione maniacale per la disposizione abituale delle cose e dei sentimenti. Come se la solitudine, quella accettata e rielaborata, avesse costruito, nel cuore dell’individuo, un atlante di percorsi sbarrati, di strade senza uscita, di sensi unici, di dighe, di barriere antisismiche in modo che qualsiasi sentimento o oggetto nuovo abbia un percorso prestabilito, all’interno, per vagare senza arrecare danno.”

Pier Vittorio Tondelli, Camere Separate

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guerra.

“Guardatevi da coloro che annettono un alto valore al fatto che si confidi nel loro tatto morale, nella finezza delle loro distinzioni morali! Essi non ci perdoneranno mai d’essersi resi colpevoli una qualche volta dinanzi a noi (o addirittura contro di noi) – costoro diventeranno inevitabilmente i nostri istintivi detrattori e offensori, pur restando ancora nostri amici. Beati quelli che dimenticano, perchè la faranno finita anche con le loro stupidaggini.” F. W. Nietzsche

resteranno sempre nostri amici, anche quando non lo vorranno più. le persone si incontrano, e non si fanno domande che su se stesse. come sto, come mi sento, cos’è che voglio, come sono finito qua, cosa trarne – da questo – cosa lasciare indietro. cosa altro può passare in testa a uno che prova insistentemente, senza ritegno, ad avvicinare un altro sconosciuto che non parla, che non dà segno d’interesse, immerso nel silenzio che è la tristezza della natura. soltanto le proprie voglie, e nessuna domanda. basterebbe avere gli occhi, per non provarci. ma le persone non sanno che farsene degli occhi. questo vale per la maggior parte degli incontri. poi ci sono alcuni spiriti che restano legati stretti a un’idea, i deserti, che saranno sempre nostri amici. per questi spiriti, la semplicità è talmente lontana che non si lascia applicare neanche all’idea di sè. sono tanto distanti da volersi incarnare nel mondo intero ad ogni respiro, che nascondono le proprie sconosciute profondità con l’estetica. una vita a parte, oltre quella che corre. come mi sento, cos’è che voglio, quali parole mi piacerebbe sentire uscire dalla mia bocca, quale romanzo fare del mio tempo, cosa scrivere di me, quali personaggi tenere, quali lasciare indietro. ma conoscerli, tutti. brilla intorno a loro una bellezza tremenda, e tutto il pericolo degli umani lasciati soli, con sè, nel mondo.  possono fare di un altro il capitolo più pregnante del loro romanzo, se deciso così, ma non smetteranno mai di scrivere tempi sempre nuovi. lasceranno tutti indietro, al momento giusto, o quando le circostanze decideranno che vada cambiato registro. e lì non agiranno ancora con cattiveria, non meriteranno alcuna accusa, alcun risentimento, perchè non c’è intenzione di fare del male. c’è anzi un’ingenuità di fondo che imbarazza, che non si può che amare dal profondo. non si vorrebbe che bastare a riempire anche soltanto un rigo di quella maestosa profondità. se il caso vuole che si capiti alla fine di un ciclo, si sarà lasciati indietro. a costo di scatenare una guerra, a costo di nutrire sentimenti senza fondamento, pur di riuscire nell’impresa. non c’è finzione in queste vite, ed è un’ingiustizia cadere nel tranello della ricerca della verità. ma la caduta a volte è l’unica via aperta per fuggire dall’arte altrui, per tornare mestamente nei confini della propria vita.  e non si può distogliere un bambino dalla ricerca della semplicità. bisogna usare tutto l’amore che si può riesumare, per spiegargli che una pagina si chiude non per cattiva volontà, che non si è stati dimenticati.  all’improvviso tutto è andato così e basta. non bisogna nutrire il pensiero che qualcuno, una volta, si sia preso cura di noi. arriveranno degli imbecilli a sfoggiare se stessi, se saranno gentili almeno eviteranno approcci troppo serrati. questo è il meglio che possiamo aspettarci. beati quelli che dimenticano di essere finiti in una pagina senza punto.

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Achmatova, 1939.

La sentenza

E sul mio petto ancora vivo
piombò la parola di pietra.
Non fa nulla, vi ero pronta,
in qualche modo ne verrò a capo.

Oggi ho da fare molte cose:
occorre sino in fondo uccidere la memoria,
occorre che l’anima impietrisca,
occorre imparare di nuovo a vivere.

Se no… Oltre la finestra
l’ardente fremito dell’estate, come una festa.
Da tempo lo presentivo:
un giorno radioso e la casa deserta.

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14 aprile

 

non c’è resistenza senza amore. non c’è un senso del sacrificio fuori della speranza. che sia negli uomini, in dio, in un solo essere umano. non si va alla resistenza per fuggire, si lotta per restare a chi si ama.

vik

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vedo i cavalli, non la cavallinità.

I wrestled long with my youth/ We tried so hard to live in the truth/ But do not tell me all is fine/ When I lose my head, I lose my spine/ So leave that click in my head/ And I won’t remember the words that you said/ You brought me out from the cold/ Now, how I long, how I long to grow old. (pop, 2012)

 

uno va fiero e spedito sul cavallo di razza delle proprie idee, che neanche seneca si troverebbe così comodo dentro una virtù vuota. l’altro incastrato sul cavallo impalato di una giostra, che gira sopra la stessa piazza, con la fatica che aumenta per l’attrito e perchè la giostra va pagata. e si sa dall’inizio che sarà un conto da estinguere, e che estinguere è la parola più adatta. quello sul cavallo vive dentro una verità che si sostiene da sè, che è piacevole e non ha bisogno di chiamare qualcosa da fuori – nè da dentro. quello sulla giostra si è trovato là per sbaglio, un altro l’ha invitato tanto caramente a salire e non ha saputo più scendere. aveva mal di testa già al primo giro, ma la chiamava estasi. la giostra andava ed era una meraviglia di quelle antiche e insieme senza tempo. si scoprì poi che quello sul cavallo in realtà non stava invitando nessuno sulla giostra, che aveva soltanto indicato la giostra per dire ‘vedi, io ho un cavallo vero, vuoi provare com’è andarci?’. aveva appena accennato a salire sul cavallino di legno, a giostra spenta, senza pagare, con quello vero in mente. aspettava soltanto il prossimo giovedì. e intanto l’altro si era tanto innamorato della forma del cavallo che non è voluto più scendere. un cavallo vero, lo sapevano entrambi, non l’avrebbe mai avuto. ancora gira. prima o poi al giostraio verrà fame e sarà invitato a scendere. e pagare, non c’è altro.

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