vedo i cavalli, non la cavallinità.

I wrestled long with my youth/ We tried so hard to live in the truth/ But do not tell me all is fine/ When I lose my head, I lose my spine/ So leave that click in my head/ And I won’t remember the words that you said/ You brought me out from the cold/ Now, how I long, how I long to grow old. (pop, 2012)

 

uno va fiero e spedito sul cavallo di razza delle proprie idee, che neanche seneca si troverebbe così comodo dentro una virtù vuota. l’altro incastrato sul cavallo impalato di una giostra, che gira sopra la stessa piazza, con la fatica che aumenta per l’attrito e perchè la giostra va pagata. e si sa dall’inizio che sarà un conto da estinguere, e che estinguere è la parola più adatta. quello sul cavallo vive dentro una verità che si sostiene da sè, che è piacevole e non ha bisogno di chiamare qualcosa da fuori – nè da dentro. quello sulla giostra si è trovato là per sbaglio, un altro l’ha invitato tanto caramente a salire e non ha saputo più scendere. aveva mal di testa già al primo giro, ma la chiamava estasi. la giostra andava ed era una meraviglia di quelle antiche e insieme senza tempo. si scoprì poi che quello sul cavallo in realtà non stava invitando nessuno sulla giostra, che aveva soltanto indicato la giostra per dire ‘vedi, io ho un cavallo vero, vuoi provare com’è andarci?’. aveva appena accennato a salire sul cavallino di legno, a giostra spenta, senza pagare, con quello vero in mente. aspettava soltanto il prossimo giovedì. e intanto l’altro si era tanto innamorato della forma del cavallo che non è voluto più scendere. un cavallo vero, lo sapevano entrambi, non l’avrebbe mai avuto. ancora gira. prima o poi al giostraio verrà fame e sarà invitato a scendere. e pagare, non c’è altro.

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