“Ti sposi, fratello?” “Mi commemoro.” (D. Pennac)
Gli oggetti si curano da soli. E non provano nulla neanche ad essere dimenticati. Non hanno sentimenti, non hanno vita, ed è questo che li rende di molto superiori agli esseri viventi, in particolar modo li rende spaventosamente più adeguati all’esistenza di quanto non lo siano gli esseri umani. Una bottiglia di vetro è più vicina all’essenza divina di quanto non lo siamo noi, è evidente: è perfettamente ciò che deve essere, non deve nulla. Una bottiglia è una bottiglia, dal momento esatto della sua creazione fino a quello della sua distruzione, sempre uguale a sé stessa per l’esistenza. Come il dio di Platone che eternamente mangia e contempla sé stesso, così la bottiglia non conosce distinzioni né funzioni, non vede e non sente.
Perché non ne ha bisogno, esattamente come quell’assoluto da sempre pensato che i più incerti chiamano dio. L’Altro da sé, ciò che appartiene all’altra sfera di esistenza, quella in cui la vita e il farsi non servono, quella che gli uomini da sempre tentano di avvicinare alla propria esistenza-vitale con insensati antropomorfismi e congetture varie quali prove ontologiche ed istituzioni religiose. Ciò che chiamano dio, vuole appunto essere l’Altro, ciò che è ipotizzabile come quanto di più lontano dall’uomo possa esistere, la frontiera irraggiungibile dell’intelletto umano. Ma la direzione in cui si è sempre guardato è evidentemente sbagliata: la vocazione, il rivolgere il cuore verso il cielo cogli altissimi pensieri non porterà mai nessun uomo a dio; piuttosto lo condurrà a quella che è la più specifica natura umana, l’anelito a qualcosa che va oltre sé stessi, che non esiste in ogni caso. Bisogna guardare all’assenza di vita, poiché non è Altro dall’uomo semplicemente ciò che è perfetto, ma ancor più intensamente lo è ciò che non ha vita alcuna. Gli oggetti.
Loro sono l’unica via di coimplicazione di finito e infinità: sono esterni, liberamente intrappolati nelle forme della natura tempo e spazio, ma sono a noi intimi quanto la coscienza, poiché in essa si riflettono come rappresentazioni che noi carichiamo di sentimenti e ricordanze orizzontali e parallele. E non hanno vita propria, essendo l’assenza la via in cui dio si manifesta agli uomini, né presenza. Quello che hai sempre cercato non è dio: non c’è nulla da sapere, che non sia il processo anatomico delle parti.