La prima Blockchain, il sogno cripto-anarchico

Quando nel 2008 Satoshi Nakamoto annunciò la nascita di Bitcoin, il primo sistema di pagamento Peer to Peer completamente anonimo, sembrarono realizzarsi in un momento i sogni di tutti i chyperpunks e crypto-anarchists della storia. Che la crittografia sarebbe stata l’arma che avrebbe potuto indebolire i poteri governativi e istituzionali non era poi così certo, fino a quella e-mail inviata da Satoshi Nakamoto alla comunità di crittografi di metzdowd.com. Fino a quel momento, era chiaro che i limiti tecnici erano concreti tanto quanto la possibilità di incappare in problemi legali assai seri, come gli Stati Uniti d’America che ti fanno causa (accadde a e-gold nel 2008).

L’invenzione di Nakamoto, la cui identità è ancora oggi un mistero, sembrava rendere possibile quel lampo rivoluzionario di cui parlava il Crypto Anarchism Manifesto (https://www.activism.net/cypherpunk/crypto-anarchy.html) di Timothy C. May (1988):

Uno spettro si aggira per il mondo moderno, lo spettro del cripto-anarchismo.

La tecnologia informatica sta per donare ad individui e gruppi la facoltà di comunicare in modo completamente anonimo. Due persone potranno scambiare messaggi, fare affari e negoziare contratti elettronici senza neanche conoscere il Vero Nome, o l’identità legale, dell’altro. […] Questi sviluppi modificheranno completamente la natura delle leggi governative, l’abilità di tassare e controllare le interazioni economiche, la facoltà di mantenere segrete informazioni, e coinvolgeranno profondamente anche i concetti di fiducia e reputazione.

Il primo tentativo di sviluppare una moneta elettronica anonima risale al 1983, anno in cui il crittografo David Chaum creò l’ecash; da allora, il costante lavoro di matematici, programmatori e crittografi ha posto le condizioni tecniche affinché una moneta digitale anonima, non tracciabile e al di fuori di ogni possibile controllo da parte delle autorità centrali fosse finalmente possibile. Satoshi Nakamoto è stato il primo a concepire, nel 2008, una Blockchain: è qui che il concetto di reputazione sognato da May – quello che avrebbe sottratto ogni movimento e comunicazione al controllo – trova la prima applicazione realmente funzionante. Ed è qui che il recente sviluppo delle cripto-valute si lega strettamente alla filosofia politica degli hacker degli anni Ottanta, ai discorsi sull’etica dell’informazione di Julian Assange e al concetto di responsabilità collettiva che rende operativa la Blockchain.

La Blockchain è un record di dati, una lista potenzialmente infinita di dati criptati; è il cosiddetto registro decentralizzato su cui poggiano le principali cripto-valute ad oggi esistenti. E’ un dispositivo di cui si parla indistintamente in riferimento ad elezioni, transazioni finanziarie, trasporti marittimi, mercato immobiliare, mercatini moscoviti; una tecnologia che consente di decentralizzare funzioni essenziali come quelle di controllo e validazione senza la necessità dell’intervento di quelle “terze parti fidate” la cui “affidabilità” ha bisogno di essere – in via generale – accordata da un’autorità centrale. L’unico organismo di validazione, l’unico strumento di controllo ammesso all’interno della Blockchain è la stessa Blockchain, ovverosia l’insieme di tutti i nodi che convalidano la sussistenza della “catena di blocchi”. Il tutto garantisce per la parte, la collettività garantisce per il singolo. Quando avviene una transazione in Bitcoin, un software trasferisce la cifra x dal portafogli a al portafogli b, entrambi anonimi; affinché la transazione sia validata e quindi effettiva, un nodo deve risolvere un “blocco” della catena, operazione che garantisce della correttezza della transazione. All’interno del blocco sono impressi tutti i dati della transazione, ma anche tutti i dati relativi alle operazioni precedenti; risolvere un blocco significa convalidare l’operazione e cementare i dati all’interno della Blockchain. Questo vale per una transazione tanto quanto per l’archiviazione di dati sensibili, per la stipula di contratti (definiti smart contracts), per l’emissione di bolle di trasporto, per l’inserimento dei voti dei cittadini all’interno dell’urna elettorale; varrà forse un giorno per l’attribuzione degli alloggi popolari, per il monitoraggio della plastica negli oceani, per la regolamentazione dei fattori inquinanti nell’industria, per la trasmissione dei dialetti locali ai posteri, per le prove di accesso ai concorsi pubblici.

Ciò che rende la Blockchain argomento di interesse, in questo senso, è in primo luogo la decentralizzazione, la delega cioè di tutte le funzioni di controllo e validazione alla totalità dei nodi connessi alla Blockchain: la responsabilità del vero è condivisa; se un nodo inserisse all’interno di un blocco un’informazione non vera, il blocco manomesso avrebbe soltanto pochi minuti di vita, prima di diventare origine di un ramo morto della catena; gli altri nodi non validerebbero infatti i blocchi successivi, rendendo inoffensivo il blocco marcio nel giro di pochissime operazioni successive alla manomissione. Inoltre i dati – siano essi relativi ad una transazione in cripto-valuta o ad una corrispondenza privata tra capi di Stato – una volta impressi nel blocco, sono incancellabili e immodificabili: i cripto-anarchici avevano ragione, eravamo sul punto di permettere l’incontrollabile anonimato.

Lo Stato cercherà ovviamente di rallentare o fermare la diffusione di questa tecnologia, portando alla luce preoccupazioni per la sicurezza, per l’uso della tecnologia da parte di venditori di droghe ed evasori fiscali, e anche la paura per la disintegrazione della società. Molte di queste preoccupazioni saranno giuste; la cripto-anarchia permetterà il libero accesso ai segreti di stato e consentirà il commercio di materiali illeciti.

E’ forse ridondante citare, rispettivamente, i casi WikiLeaks e Silk Road a confermare la visione cripto anarchica. E’ forse invece in qualche misura edificante seguire la suggestione che indicherebbe la tecnologia Blockchain – in quanto ultima creatura della crittografia informatica – come attore di una rivoluzione sociale e culturale che potrebbe condurci alla “società anonima aperta” sognata e teorizzata dai movimenti hacker degli ultimi trent’anni. Dalla celebre e-mail di Satoshi Nakamoto i termini del discorso sono cambiati, ed il processo è irreversibile: non esistono limitazioni tecniche all’utopia cripto-anarchica; restano le leggi, restano le Autorità lese e restano i difetti dell’umanità a comprometterne la diffusione…ma finalmente l’utopia è tecnicamente possibile.

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