ghezzi, tempo di consumo, video-cose

il tempo s’è contratto: come per quanto concerne gli spostamenti da un posto all’altro, così in quanto inerisce al consumo di produzione culturale, il tempo è accelerato. quando enrico ghezzi, in una di quelle che chiama video cose, esorta a vedere per la prima volta buongiorno di jasujiro ozu senza sottotitoli per poi far seguire la visione sottotitolata, invita il pubblico ad una attività di circa tre ore. la chiave è nel fuori sincrono, laddove la mala sincronia tra il concreto quotidiano e la vita spirituale va incontro alla scarsa armonia del mezzo “video-cosa”. ghezzi parla attraverso una sorta di video-saggio, spesso girato con mezzi e intenzioni sciatte, in fuori sincrono. le video-cose durano tra i sei e i venticinque minuti, ed introducono la visione televisiva di un film all’interno del programma notturno “fuori orario”. la video-cosa esige al massimo venticinque minuti a fronte di tutta una notte di programmazione di film, più o meno lenti, più o meno lunghi. orario improduttivo, la notte, quasi quanto il tempo impiegato nella visione di un film, nel consumo di letteratura, nella riflessione. siamo nella fascia oraria desincronizzata dalle attività produttive, a parlare lentamente, e quante volte si sottolinea la non liceità della video-cosa stessa!, su un mezzo velocissimo, di quanto seguirà in questa danza con il tempo singolare, improduttivo, ingiustificato. il disagio creato dalla video-cosa di ghezzi, noto a molti, sta nella violenza del passaggio dal giorno alla notte, che avviene qua quasi di soprassalto dopo una pubblicità. ghezzi parla per immagini, e conduce lo spettatore nel tempo del gioco: la sintassi cede il posto all’espressione, la comprensibilità al portato immaginifico delle parole. siamo in pochi attimi da un’altra parte dell’esistente.

bla, bla, tutto ciò per cercare di indagare se esista, e quale sia, la forma di produzione culturale adeguata al tempo generalmente produttivo del pubblico.

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