il capitalismo, il carnaio.

è tutto molto semplice, nella sostanza: anticapitalismo, perché il capitalismo è contro la vita, ovvero contro il principio che hanno chiamato l’umano. si va di boicottaggi e consumo critico, perché il nostro essere è essere consumatori, e non può essere che quello il terreno su cui tentare una forma di resistenza. nel sistema capitalistico tutto ha un prezzo, e niente un valore. si è talmente abituati a quantificare che non si vedono più i colori, le calligrafie, la differenza tra una mela e l’altra, neanche a scandagliare tutto un container. tutto merce, è stato spiegato bene. anche il lavoro, anche la fatica, anche i corpi. anche i corpi mentre non sono al lavoro, nei momenti in cui mai si penserebbe di essere parte del gioco del quanto costa. la lettura interessante di ieri, walter benjamin che sostiene il capitalismo come religione. un’ipotesi che non viene spiegata, che a me pare evidente tanto quanto il terrorismo pieno d’amore di savinkov, o il sentimentalismo dei socialisti rivoluzionari russi, e degli esistenzialisti francesi per il comunismo, o la rivoluzione, o la rivolta. non andava spiegato. la religione di oggi è unica, ha assorbito anche le altre, e si chiama capitalismo. leggendo sovrappensiero possono trovarsi delle punte di chiarezza, quelle ripulite a fatica dagli studi e dalle pretese di correttezza formale, da sempre la parte che preferisco di questi pipponi kierkegaardiani (cit.). si trova in una recensione un estratto del testo di benjamin:

1. Il capitalismo è una religione totalmente cultuale. Non c’è dogmatica e non c’è teologia: ogni sua manifestazione si riduce all’esecuzione di un culto (ovvero di una serie di azioni simboliche).2. Il rito del capitalismo è senza termine. Non esiste riposo perché non esiste separazione fra la sfera religiosa e quella laica: non c’è giorno feriale, nel calendario capitalista.3. Tale culto non offre redenzione (e nemmeno consolazione): si avvita semplicemente su sé stesso producendo Schuld – una parola tedesca che significa sia “colpa” che “debito”, e sulla cui ambiguità ruota gran parte dell’analisi di Benjamin.4. Il Dio del capitalismo è un Deus absconditus per eccellenza: siccome non c’è redenzione, la divinità è spinta eternamente lontano, eternamente al limite: la sua visione e la salvezza non sono dunque contemplate.

azioni simboliche. la preghiera del mattino di hegel, ma anche le concrezioni sociali, tutte. non va spiegato. ogni azione periodica è cultuale, è simbolica ma non rimanda ad altro: non può contenere il germe dell’ulteriorità perché il capitalismo – dice benjamin – è una religione senza teologia. nell’assenza di dogmi sta l’infallibilità della nuova religione, perché senza un contenuto il tratteggio libero diventa portante. l’argomento è la forma, il simbolo che basta a se stesso. – taglio la digressione sulla svolta ebraica di un francofortese, perché voglio restare nel sovrappensiero. – il culto è spaventoso, sempre: il rituale è meccanico, deve essere riconoscibile, bisogna dare nomi alle funzioni, un simbolo per un nome e un rito per se stesso. non serve coscienza, né sentimento religioso. né sentimento, e basta. si azzerano fede, orizzonte, prospettiva, dubbi. si è scoperto che il rito è sufficiente per il mantenimento del sistema, e non serve altro. uno che si alzi in mezzo alla messinscena chiedendo di poter credere sinceramente verrà allontanato. dio è talmente lontano che solo l’invocarlo diventa stigmatizzante. lo schizzo di benjamin è profondo e chiaro, e si sovrappone facilmente a tanti fenomeni. il consumo di merci, il consumo di tempo, il consumo dell’altro. la stretta di mano, sto bene grazie, prego, lo voglio, ti amo, basta, ti voglio, per favore, mi manchi. si può averne coscienza oppure no, ma a rifletterci sembra anche questo un rituale dei più spaventosi. il capitalismo della curva ormai discendente porta con sé quella che sembra la legittimazione del culto senza dio: non c’è neanche più bisogno di raccontarsela, per essere gente di chiesa. si fa perché si deve, perché piace, perché si vuole farlo, e basta. che ti metti a chiedere dell’esistenza di dio che neanche nelle bettole di pietroburgo a fine ottocento, che vai cercando, non vedi che si vive tutti bene così. prima o poi ti stroncheranno le gambe, e ti accontenterai di un posto comodo alla funzione religiosa. allora avremo tutti meno problemi, che stanno lì solo a togliere tempo all’evoluzione.

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