un disegno.

“Per noi ci vorrebbe qualcosa di più piccolo,

qualcosa come un tango…”

Non ce la faccio più,

ma lo porto lo stesso.

Vorrei scrollarmelo di dosso,

ma so

che non lo lascerò!

Gli archi delle costole non reggono al peso.

Scricchiola la cassa toracica per lo sforzo. (V. Majakovskij)

 

ecco! che le scarpe battano rumorosamente perché non si pensi che non c’è stato nessuno, meglio ancora sarebbe lasciare graffi sul pavimento, non ci interessa chi passerà a pulire. e che ogni sintomo di realtà sia soltanto un errore dell’attore, di quelli tanto stupidi da riuscire a imbarazzare anche un pubblico male informato. ah, che spettacolo il tango signora mia. divertente, tecnica sopraffina, roba da filmare e lasciare impressa per quando ci si sente felici, che almeno ci si ricorda di quanta pochezza, in moneta di verità, sta in quella felicità così poco affascinante. e se la bellezza fosse altrove, invece. tentiamo, almeno a chiacchiere. se fosse proprio nella cura di non lasciare segni per terra, nel mostrarsi con evidente imbarazzo eppure così, brutti e pesanti. ecco, le tegole di un tetto costruito sopra a una struttura di artifici, ma con volontà e impegno tanto sinceri da provocare la pietà di chi passa nelle vicinanze (guarda, quello si è costruito un tetto senza casa). se fosse qui la bellezza, allora sarebbe, che sarebbe? lo stesso un circo, soltanto un po’ meno divertente, silenzioso, senza tendoni a strisce e mostrine sulle giacche? saremmo, tutti, uno spettacolo altrettanto insignificante ma meno carino, un po’ spento, con una regia scadente e attori che pensano veramente di essere dentro i gesti del teatro? si chiama schizofrenia? poco importa, comunque sarà classificato in qualche manuale, questo. segno che una parte di umanità si ritrova così, non sarà tutto un enorme errore collettivo. la bellezza signora mi sa tanto che non apprezza la vicinanza degli imbellettati, non vorrei giudicare così, senza sapere che ne pensa, ma fossi in Lei mi vergognerei di passare al fianco di una scatoletta di brillanti, ben sapendo che di quelli si conosce il prezzo. e il valore di niente, giusto. e nella mediocrità meno originale, lì può starci della bellezza? sarà più felice a guardare un gruppo d’inglesi divertiti e ispirati nel mezzo di un safari ben organizzato o si fermerebbe a guardare dalla finestra di un appartamento appena fuori le mura di una città deserto, a metà pomeriggio, un anziano solo che si osserva allo specchio con la poca luce che resta del giorno? basterebbe capire i bambini, per saperlo. ha mai cercato signora di trovare un senso, fosse anche un segno a matita e niente altro, a un peso che ha costruito da sé? poi ci si ritrova a tentare una ridicola mappatura della bellezza, con l’unica speranza di non far cadere per terra l’ultimo vaso di fiducia che resta sullo scaffale. e tenga a mente questo: c’è da conservare sempre un certo timore verso l’improvvisa attrazione per le finestre chiuse, che lo spazio di una gabbia toracica è sempre almeno il doppio di quello che va a perdersi oltre i vetri.

Kunst Quartier Bethanien, Berlino, 12 marzo 2013

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