Supponiamo

Supponiamo tante cose. Definire le cose, per i professionisti delle supposizioni: riempire lo spazio lasciato vuoto da quello che manca, con un nome. Scriverselo su una mano, perché si possa averlo sempre davanti ma lasciandolo libero di andarsene senza uccidere il corpo, è sintomo di un’esperienza che non si lascia accatastare. Se si ha carattere, si ha anche una propria tipica esperienza interiore, che ritorna sempre. C’era scritto, ricordo bene dove, che il tempo può ignorare tutta un’eternità. Ecco come tutto torna, non ci si lascia mica rallentare dal ricordo di qualcosa che somigliava a un  futuro possibile. Resta quello che avevamo supposto, o se ne va anche quello? E per quanto tempo pensa di occupare questa stanza? Abbiamo delle prenotazioni, un comitato centrale del partito occuperà trenta letti la settimana prossima, poi la squadra di rugby bangladese è piena di bambini intolleranti al lattosio, c’è da organizzarsi ecco. Tra qualche giorno si commemorerà qualche gran letterato, usciranno degli articoli per esperti del settore, e lei, signora, è una cliente un po’ invadente per tutti i nostri impegni. Ancora ci chiediamo perché abbia voluto sfondare la porta della sua stanza, quando le erano state fornite le chiavi; poi tutte quelle schifezze lasciate là sul letto…insomma. E’ un problema di aspettative, signora: noi siamo un’attività a conduzione familiare, abbiamo pochi dipendenti e tutti a tempo determinato, senza amore per questo tipo di mestiere. Per lei ci vorrebbe un grand hotel, di quelli che siano capaci di accoglierla con il facchino incravattato, che siano tanto organizzati da saper gestire le sue chiamate in reception alle 5 del mattino per chiedere che ora è; qua siamo tutti stanchi, la notte è lunga e le luci artificiali affaticano. Supponiamo che abbiamo sbagliato ad accettare il suo denaro. Glielo rendiamo, sperando che saprà farne miglior uso.

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